venerdì 10 ottobre 2008

ballata a cardoleddha


ballata a cardoleddha i ballerini sono marito e moglie , dove c'è sonu ci sono loro

ballu a cardoleddha

ballu a cardoleddha osservare solo la donna il ballerino e un'amico di famiglia, suonatore di ciurameddha a paru

la gracia ci ha lasciato in eredità

La grecia, che, come tutti sanno e’ stata un luminare di civiltà in tutto il mondo, ci ha lasciato in eredita’ a viddaneddha o megalochoro o tarantella grecanica che noi della magna grecia oggi eseguiamo egreggiamente anzi in maniera molto originale, cosi’ come era gli albori della storia ellenica,

il primo strumento a fiato usato dai greci


Lo strumento piu’ antico per esuguire questo ballo greco era stato chiamato dai greci che lo avevano interpretato :"aflos" che sta per flauti. infatti erano due flauti di osso di animali, di una certa lunghezza , bucherellati alla bisogna, senza otre- tipico strumeto a fiato dell’epoca- accoppiati e di tonalita’ diverse fra loro, cioe’ maschio e femmina. venivano maestrevolmente suonati da molti abili suonatori di aflos dell’epoca, unitamente al tamburello, senza cimbali solo la pelle, L’aflos, aveva un suono a dir poco meraviglioso e consentiva di eseguire tutti i passaggi del ballo grecanico viddaneddha, si poteva sentire ed apprezzare il suo suono chiaro limpido anche a distanza considerevole

a viddaneddha libera la mente ti fa rilassare

Il modo di ballare dei ballerini, che veramente conoscono il ballo, hanno un loro fascino particolare, e si sviluppano pestando o calpestando la terra coi piedi, proprio come facevano nell’antica grecia ma la nostra vaddaneddha, ha soprattutto un significato liberatorio, consisterebbe in un effetto psicologico preciso, questo ballo e’ veramente capace di farti dimenticare sia pure per poco tempo non solamente i tuoi problemi, ma dimenticare perfino se stessi, una volta che ci si lascia perdere dal ritmo incalzante del suono, infatti questo e’ quanto succede nelle piazze all’aperto, oppure nei locali chiusi, la dove le persone ballerini o semplicemente spettatori,sono tutti disposti a forma di ruota, guardando ed aspettando il loro turno di ballo sono tutti presi, avviluppate, letteramente ebbri,dal ritmo incalzante del suono da ciurameddha e tamburello, oppure dell’organetto e tamburello, tant’e’ che sembrano essere veramente ebbri,ubriachi del ballo da viddaneddha. questo ritmo grecanico, infatti evidentemete ha un effetto non indifferente sulle psiche dell’uomo di tutti i tempi,

Agata Scopeliti grande ballerina lo stile e cardolu

a viddhaneddha si balla pogiando i piedi per terra

Un ballo cui passetti si sviluppano sulla terra pestandola coi piedi, contrariamante come si usa fare nelle altre tarantella, che il ritmo si finisce a levare, purtroppo, col passare dei secoli, per una certa forma di ignoranza, e perché nel sud ha allignato l’analfabetismo ed il semi-analfabetismo di ritoro, il nostro ballo grecanico venne per lungo tempo definito, come del resto a tutt’ oggi, tarantella, creando così una grande confusione ed un notevole disorientamento generale , talché oggi quasi tutti la chiamano erroneamente tarantella, molto raramente vaddhaneddha, krunneme, megalochoro. Il termine vaddhaneddha, preso in prestito dall’italiano villanella sta a significare, molto semplicemente, ballo degli abitatori dei piccoli borghi .i piccoli borghi,qui da noi, all’ epoca, erano le colonie greche.

rina,la grande ballerina riggitana, è presente in tutti le manifestazioni dove si suona, apprezza il buon suono, si diverte ballare,

ballo unico al mondo da non confondere con altri balli

Di questo ballo, di questo ritmo,unico al mondo, mai ripreso da alcun musicista,noi popolazioni della magna grecia,siamo oggi gli unici depositari e conservatori,in tutto il mondo. Questo nostro ballo e musica grecanica non e’ da confondere, come molto spesso accade,anche fra persone che credono di essere colti, eruditi e intelligenti,con la tarantella,che invece e’ un ballo nell’aria, quando si parla di tarantella, infatti, che si sappia o no, ci si riferisce sempre ad un particolare ballo in uso dal 1300 nella citta’ di taranto, che nulla ha accheffare con il nostro ballo, che e’ un ballo di terra.
La tarantella di taranto, infatti e’ semplicemente un saltarello, come lo e’ il saltarello napoletano, il trescone, il saltarello abruzzese,ecc salterello o tarantella che derivo’, anticamente da una vecchia forma di tortura e cioe’: il morso della tarantola sotto i piedi dei condannati, i quali per conseguenza di cio’ salterellavano, di qui il salterello ovvero la tarantella di taranto; un ballo i cui passetti si svolgono tutti nell’aria.
La nostra non e’ tarantella perche’ non proviene da taranto, non deriva dalla tarantola, ne’ da quella antica forma di tortura; e’ invece la famosissima e gloriosa viddaneddha detta anche krunneme o megalochoro gli anziani ancora ricordano questa antica terminologia .

viddaneddha o tarantella grecanica

Se diamo, uno sguardo, sia pure rapido, agli studi condotti su questo tema dai quali apprendiamo a chiare lettere che la nostra tarantella grecanica, l’erede dell’antico kordax, non e’ che un ballo greco, di almeno tremila anni fa,che pare ebbe inizio nell’antica regione storica dell’epiro, la tracca greca. un ballo ed una musica tre millenaria antichissimo che fa parte dei periodi piu’ floridi dello splendore della antica civilta’ greca;

giovedì 9 ottobre 2008

ballare nelle occaioni di feste religiose

Ballare e un fatto sociale di grande rilevanza, una forma comunicativa adatta ad esprimere i bisogni, i messaggi e gli stati d’animo più complessi e differenti. La stessa danza tradizionale era sacra nelle occasioni di festa religiosa per chiedere grazia, per mantenere un voto o per semplice devozione, profana per celebrare il Carnevale con le sue colorazioni pagane ed edonistiche (famoso e quello di S.Salvaore cha ancora oggi e tradizione festeggiare il carnevale), assolutamente laica nelle feste domestiche, immancabilmente rituale per matrimoni e battesimi. dopo l'imbrunire si usciva fuori della propria abitazioen si sentiva dove c'era il suono,e si incamminava a farsi una ballata, delle volte si ritornava a casa senza aver ballato.Si percorrevano chilometri a piedi da una contrada all’altra anche la sera ed al buio per andare a trovare un amico che "offriva da ballare" in una piccola festa familiare. Con la stessa passione si sarebbero affrontate le sette ore a piedi per andare sino a Reggio per farsi un giro di tarantella alla festa della Madonna della Consolazione o altrettante per raggiungere Polsi e ballare fuori il santuario.

viddaneddha nell'aspromonte greco

Certamente sappiamo che la festa e la danza tradizionale erano due elementi indissolubili nel mondo popolare almeno sino alla seconda guerra mondiale. In tutto l’Aspromonte greco comprendendo anche l’area di Cardeto,S.Salvatore Mosorrfa,Cataforio, la vallata del S.Agata, (ellenofona sino al primo novecento) ballare era una condizione decisiva addirittura per potersi sposare. Si facevano chilometri a piedi per ballare e nei giorni di festa comandata e la comune vita del paese era sospesa per consentire suono e ballo ininterrotto. Nella società tradizionale le occasioni di ballo, sia domestico (feste in casa più o meno occasionali) che pubblico (festa del santo, matrimoni, battesimi, carnevale, etc.) erano gli unici momenti in cui i giovani potevano, per lo meno, guardarsi seppure sotto il controllo ferreo del capo famiglia e magari aspirare a fare un breve giro di danza assieme. La stessa danza avrebbe portato con sé l’occasione di leggere, attraverso tutto il codice simbolico coreutico del corteggiamento, la possibilità di un assenso sentimentale negli occhi o nelle mani di un ragazzo o di una ragazza. Varie testimonianze raccolte nelle aree citate confermano che un bravo ballerino trovava più facilmente moglie. Danzare era un’occasione per mettere in mostra destrezza, abilità e fierezza negli uomini, garbo, portamento e femminilità per le donne. "Mettersi in mostra" con un bel giro di tarantella, in sostanza, avrebbe facilitato ed accelerato il fidanzamento. Un bravo ballerino in famiglia era cosa molto gradita. Tutto ciò ancora sino agli anni ‘60/’70 del ‘900.

palumba

Nell'antica Locri le fanciulle/colombe appartenevano ad una categoria speciale di animali sacri affidati alla custodia di Ferre fassa, Persefone-colomba. A Locri infatti, Persefone non è una dea tra tante, ma "la Signora" della città, la "Madre" dei Locresi, ecco perché alla frase (balla lu palumbu e la palumba) spesso si risponde (parunu figghi i na sula mamma), ovvero sembrano i figli di un 'unica madre. Sappiamo inoltre dalle fonti archeologiche che Persefone anche figurativamente è rappresentata con in mano una fassa, la colomba selvatica montana, simbolo di fedeltà e fecondità.

a cattura da palumbaddha

Nella viddanèddha si cela perciò la Kore locrese, la ragazza/figlia, che deve divenire gyne, donna/moglie . Nel rito della "danza della colomba" si compie così attraverso la"cattura" anche il passaggio dell'autorità genitoriale : la ragazza/colomba ormai appartiene al ragazzo/falco, dallo stato selvatico è passata allo stato civile e insieme al suo compagno , rinascendo, riceve una nuova identità, divenendo parte essenziale della comunità

inseguimento del ballerino

Basta guardare la coreografia del ballo per rendersene conto: la ragazza cerca costantemente di sottrarsi all'altro danzatore ,che l'insegue appressandosi ad essa più che può, fino al limite del contatto fisico, che è assai raro e non va mai oltre la presa delle mani. Durante il ballo il choròs rivolge ai due ragazzi la seguente frase d'incitamento : balla lu palumbu e la palumba! ,ossia, stanno danzando i due colombi In realtà però, sulla scena non v'è che un'unica colomba , poiché il ragazzo si è solo temporaneamente mimetizzato in un colombo che, presto, si rivelerà essere un infallibile uccello di rapina. La strategia della cattura prevede infatti che il giovane, al momento a lui più favorevole, usi il micidiale passu " ill'adornu" che è un passo ad imitazione del volo del falco "quando questi cerca di nnopiare la preda (affascinarla per poi piombarle addosso e ghermirla)" La cattura è a questo punto inevitabile e alla ragazza non resta che lasciarsi — volontariamente — carpire e sfilare via dal collo il tipico foulard, detto muccaturi. La ragazza è così nzingata,"segnata", e assegnata pubblicamente al giovane quale prossima sua sposa e nessuno nella comunità può più ignorare il fatto dell'avvenuta "cattura"

le ipotesi dell'origine della viddaneddha

Il termine viddhanèddha, proveniente dal calabrese viddhàna,"popolana", qui in composizione col suffisso vezzeggiativo -èddha è da intendersi come "giovinetta", "fanciulla" , "ragazza" . Protagonista di questo ballo pertanto è una ragazza che con grazia ed eleganza danza all'interno della rota, lo spazio coreutico di forma circolare che viene delimitato da tutti i partecipanti al ballo (suonatori inclusi) . In grecanico infatti, il verbo chorègguo, "ballare", equivale all'espressione dialettale "fari rota", cioè, istituire un choròs, parola che designa a un tempo, come nell'antichità, sia il gruppo di danzatori che il luogo dove si danza. Detta ragazza non balla da sola ma danza in coppia con un altro giovane , ragion per cui, tra gli studiosi della tarantella "calabrese" e reggina, che la viddhanèddha sia una danza di corteggiamento. Le cose non stanno affatto così, e lo dimostrerò . Secondo me , predominante nella viddhanèddha non è il motivo del corteggiamento, ma quello dell'inseguimento

vola palumba palumbeddha bella, vola palumba palumbeddha mia

Su questo ballo caratteristico della provincia di Reggio Calabria, lungamente a torto assimilato alla tarantella reggina ,si è scritto pochissimo e, soprattutto, senza che mai
all'indagine musicologica della sua struttura ritmicomelodica e strumentale, facesse seguito quella storica, linguistica ,letteraria e antropologica, volta a stabilire con minore approssimazione la sua ascendenza .
A volere scorrere in rapida sequenza le principali informazioni già note agli esperti del settore, potremmo dire che la viddhanèddha si configuri come una danza circolare, a ritmo 6/8, a suddivisione ternaria, con due accenti ritmici di 3/ 8 ciascuno, intervallati da brevi pause . Ne sostengono lo schema ritmicomelodico due soli strumenti : la ciuramèddha, erede del doppio avlos (oggi purtroppo quasi del tutto soppiantata dall'organetto diatonico), e il tamburèddhu, moderno continuatore del tympanon – strumenti entrambi di derivazione magnogreca.

la donna sfugge al corteggiatore

Lei si ritrae, opera il ,"tagghiapassu", oppure piroetta per sfuggire all'assedio e per offrirsi sempre di fronte all'altro. A volte lei solleva un braccio al di sopra della testa facendo la "scartagnetta", scandendo cioè il ritmo con lo schiocco della dita, talaltra gioca facendosi scorrere dietro il collo "u muccaturi" (il foulard) oppure agitandolo davanti al viso dell'avversario. È una sottile allusione alla profferta amorosa, un invito, un incoraggiamento. L'uomo cerca sempre di impressionarla con l'abilita dei passi: cerca di "'nnopiarla" per poi "'nzingarla" o "scapigghiarla" (prendere cioè il fazzoletto della donna ripetendo gli antichi rituali della dichiarazione d'amore che anticamente presso alcune comminuta si manifestavano appunto con la "'nzingata" (segnata) toccando il viso della donna oppure strappando la manica della camicetta; la "scapigghiata" consisteva invece nello scompigliare i capelli della ragazza). Molte volte la coppia danza spalla contro spalla esprimendo il massimo dell'erotismo attraverso il contatto diretto. Anche in questo caso il "mastru d'abballu" interviene, spesso su allarmata sollecitazione dei parenti della ragazza o di qualche altro interessato

corteggiamento

Si verifica il mimo del corteggiamento. La donna fa ricorso a tutte le sue arti sottili di civetteria, sempre pero discreta e contenuta; vivo dev'essere naturalmente il senso del pudore! E tutta una schermaglia di sguardi, di sottintesi, di desideri appena accennati, di pudori.. Nella danza a coppia mista uomo e donna si dispongono lungo il bordo del cerchio fronteggiandosi. I primi passi di danza sono lenti: lui fissa negli occhi lei, per intuirne l'assenso; lei guarda basso: un po' per pudicizia, un po' per non farsi sorprendere dai passi dell'uomo, pronta a rispondere con altrettanta abilita. Lei poggia sui fianchi le mani con le palme rivolte all'esterno. E un atteggiamento molto elegante che ricorda le sinuose forme delle anfore greche, ma e anche una posizione densa di civetteria per esaltare i fianchi e la formosità dei seni. Fatti alcuni giri esterni, la coppia stringe al centro: talvolta lui batte il ritmo con le mani, talvolta sotto il ginocchio della gamba alzata, e cerca di girare intorno alla donna per mimare il corteggiamento.

fora u primu

con un gesto lento, gentile e spavaldo allo stesso tempo, con un lieve inchino e dopo aver salutato toccandosi la fronte con le dita ripiegate della mano destra. Dopo qualche giro si riavvicinava agli astanti e con le stesse modalità invita e a sostituisce un altro ballerino, occupandone il posto fra il pubblico. Di solito il ballo di un ballerino e di circa 1,2 minuti . Dopo un certo lasso di tempo si reinseriva nella danza sostituendo il primo entrato con la formula: "fora 'u primu" (fuori il primo). Continuava così alternandosi costantemente fino alla fine . Non ci si ribella alle direttive espresse du mastru i ballu : se ne accettavano umilmente le decisioni. Talora pero questi prevaricava il suo potere favorendo eccessivamente o trascurando ostentatamente qualcuno. In questi casi, purtroppo spesso finiva male. Il presunto offeso non si teneva lo sgarbo e reagiva subito o dopo la festa: erano coltellate o bastonate.

A cataforio si balla così le persone meno giovani partecipano alle feste,si divertono insieme a noi riprese fatte durante "u stegg"

u mastru i ballu

Prima della danza si propone la delimitazione dello spazio circolare entro cui il ballo avera luogo a rota. Era quasi una rievocazione simbolico spaziale del territorio di appartenenza tribale: il villaggio, il paese, il rione. Finalità recondita ne era la simbolica conquista, il predominio. A dirigere le danze tacitamente e preventivamente prescelto il capo carismatico: l'uomo di maggior rispetto e di conclamata abilita. A costui era scontata la sudditanza degli astanti. Era questi il "u mastru i ballu" (il maestro di ballo) che alle prime note dei suonatori si disponeva al centro del cerchio, quasi ad avocare su di sé il potere derivante dal suo carisma, e dopo i primi accenni di danza si dirigeva verso gli spettatori fra i quali sceglieva il compagno o la compagna. Lo faceva con un gesto lento, gentile e spavaldo allo stesso tempo, con un lieve inchino e dopo aver salutato toccandosi la fronte con le dita ripiegate della mano destra.

a viddaneddha

L'espressione tipica del ballo calabrese è la cosiddetta viddaneddha. ed un'attenta analisi dei passi e dei comportamenti mimici dei ballerini ipotizza chiaramente l'origine greca. Le occasioni di ballo sono svariate: dalla festività religiosa a quelle familiari (nascita, fidanzamento, matrimonio) a quelle agresti in coincidenza con determinate evenienze (vendemmie, trebbiature, tosature delle pecore, etc.). Anche gli strumenti si rifanno alla tradizione greca: il filo melodico e affidato a la "ciurameddha" (zampogna). La scansione ritmica e assicurata dal tamburello, originato dal tympanoni, e con il battito delle mani del ballerino e dei partecipanti alla rota .

archeo-antropologico

Si effettua un vero e proprio scavo archeo-antropologico all’interno delle feste popolari più arcaiche dai forti richiami ed antiche radici e tradizioni (Gioiosa Superiore, Polsi, San Sosti, Reggio Calabria, Riace). C’è tanta sensualità tra i significati più immediati di questa musica Sonu a ballu, ma anche immediatezza, spontaneità, ritmo, passione. a Viddhaneddha, una danza di derivazione greca, e al ruolo du mastru i ballu segue poi la tarantella riggitana e quella maffiusa. Alla tematica della danza tradizionale grecanica e a quella arberesh

gente in aspromonte

Per secoli, fino a questi primi anni del millennio, il pellegrinaggio è stato come Corrado Alvaro lo ha ripetutamente descritto, da “Polsi nell’arte, nella leggenda, nella storia” - la sua prima operina di diciassettenne, con le “belle cardole”, le ragazze di Cardeto in costume, che ballavano vivaci e aggraziate la tarantella - a “Gente in Aspromonte”. Sul pellegrinaggio è centrato il racconto “Consolata” della raccolta, con “la Madonna di pietra colorata”, “la folla compatta”, la chiesa ridotta a “mistico ovile”, dove i pastori portano in voto “le mucche e le capre infiocchettate”. Ma già il racconto lungo del titolo, “Gente in Aspromonte”, crea attorno ai pellegrini una delle sue scene principali, che scaldano la buona stagione del chiuso e cupo villaggio “cantando e suonando giorno e notte”. Si grida “viva Maria!” e si sparano colpi di fucile: “La folla si snodava lungo lo stretto sentiero in fila indiana. I bambini piangevano nelle ceste che le donne portavano sulla testa, i muli con qualche signore seduto sopra facevano rotolare a valle i sassi, una signora vestita bene camminava a piedi nudi tenendo le scarpe in mano, per voto. Una donna del popolo andava con le trecce sciolte

pascali u lupu, grande ballerino, sempre presente nelle feste a ballu,

il ballo "riggitano"

Il ballo, la tarantella, accentua nel modo “reggitano”, o meglio aspromontano, la diatonia antico greca, accordi semplici reiterati con minime variazioni. Maria Barresi lo fa derivare dal kordax, il ballo che intervalla le commedie greche, risponde meglio alla tarantella aspromontana, che si balla in coppia, variamente assortita da un maestro di ballo tra i partecipanti disposti in circolo – “quando c’è ruota c’è festa”,

come si andava vestiti a polsi

sanluchesi «vestiti di orbace, agili e aitanti», i pastori «selvaggi di Solano, coi berretti di lana muniti di un fiocco», le donne di Bagnara «con le tradizionali sette sottane a piccole pieghe, strette intorno ai fianchi, e aperte a campana in fondo», e poi i mulattieri di Platì, i pastori di Nadile, i benastaresi «con accanto le loro donne dai busti fortemente colorati», «le popolazioni della marina, vestite di chiaro, e col volto di un bronzo particolare», le donne di Cardeto famose come le più abili e resistenti danzatrici

si dice sulla festa di polsi

La festa di Polsi non ha nulla di quel lugubre scenario di altri Santuari, dove si radunano i morbie le deformità di tutta una regione, in cerca di grazia e di salute. Questa somiglia più che ad altro, a un immenso baccanale religioso, a una festa dionisiaca, dove si va come a una scampagnata, tra i monti, e si mangia, si prega anche un poco, e con fervore, ma soprattutto si danza. Il ballo è la caratteristica più spiccata della solennità. In ogni angolo ove esistono quattro metri quadrati di terra pianeggiante, sotto ogni noce, una zampogna, e organetto fanno circolo. Intorno si dispongono dei pellegrini, uomini e donne, scelgono un maestro di ballo, uno cioè che guidi la danza, - la quale ha le sue leggi e le sue regole cavalleresche che possono condurre al sangue in un attimo - e si mettono a danzare con un ritmo orgiastico, sventolando le mani, le braccia, i cappelli, i fazzoletti istoriati con versi amorosi, gittando dei gridi gutturali acutissimi, come squittire di bestie selvatiche. Tutta la valle è un brulichìo e un trepestìo sonoro.

si dice della tarantella cardola

A fine agosto, in un meriggio afoso, Cata, donna di casa, portava in giro i figli di Massaro Peppe, per assistere alle interminabili tarantelle delle donne di Cardeto, le cardòle, che erano impereggiabili nel ballo. E poi a guardare le variopinte bancarelle dei ferari dove primeggiava Don Gaetano Ammirato di Benestare, che, su tovaglie colorate, esponeva taralle, ‘nzudde e pignolata. I bambini tornavano a casa con tre tamburelli di pelle. Massaro Peppe, aveva avvertito Cata di non accettare regali